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16 - 04 - 2025

Lascia che sia l'istinto a condurlo e mentre accompagna al passo la moto presa in prestito da Elliot nel vialetto ordinato, lasciandola contro la parete senza curarsi di graffiare l'intonaco fresco, la mano ha già cominciato a pulsargli in sincrono col cuore. Pesante, si lascia andare sui gradini con nelle orecchie il rintocco costante del messaggio di Noah a cui ancora non ha risposto e che ha ignorato volutamente, sentendolo martellare tra le costole. Tira su col naso, cercando di recuperare una sigaretta con le dita tremanti di nervosismo che non è riuscito a scaricare nemmeno rischiando di crepare contro un pilastro quando il freno posteriore ha deciso di non funzionare più. Non si accorge della porta che si apre alle sue spalle, tanto meno della canna del fucile - glielo ha comprato lui cazzo - che gli preme contro la nuca. Armeggia con la sigaretta, l'accendino ormai è finito e lo lancia sul praticello senza pensare.
 - Cristo santo Jude, stavo per spararti.
 - ...
In silenzio fissa il vialetto rimesso in sesto, tirando su col naso e masticando il filtro della sigaretta senza rispondere. Ann si china abbassando il fucile a canne mozze per tenerlo aderente le cosce fasciate in pantaloncini attillati che usa come pigiama. Sente le sue dita infilarsi tra le ciocche e socchiude gli occhi con la stessa pigra indolenza di un cane a cui hanno finalmente rifilato un grattino. Mugugna qualcosa, sentendo il respiro della sua ex moglie rimbalzargli contro la guancia.
 - Come cazzo ti sei ridotto?
 - Ho preso a pugni un muro.
 - Per evitare di pestare una donna, almeno ne valeva la pena?
 - No. Voglio vedere i bambini.
Rovescia la testa indietro, lei è inginocchiata avvolta in una vestaglia morbida ma i lembi di pelle che intravede nella luce riflessa del lampione gli accendono un cupo interesse. La cerca, allungando il collo, forzando la testa contro la sua mano che stringe e strattona appena. Gli tende il collo, lo costringe a guardarla in viso e lasciarsi guardare come il solito derelitto che è. E' domenica e non sta pensando alla messa.
 - Sei uno straccio, almeno potevi farti la barba.
 - Poi me la faccio. 
Promette, in un bisbiglio mentre cerca di torcere il busto e allungare la mano a cingerle i fianchi, strattonandola verso di sè senza curarsi della mano gonfia e livida, del dolore sordo che gli scala le nocche e si pianta nel polso come un chiodo. 
 - Non dovresti essere in quaresima?
 - Dio sa di averci creati imperfetti.
E' una frase che gli rimbalza tra le pareti del cranio da un po', lo aiuta a non pensare alla lite con Mare, l'aiuta a non pensare alla bugia che ha detto a Noah per proteggere il bambino e quella stronza mutante con le ali che gli ha fatto sfasciare la mano contro un muro. Perchè lei glielo ha chiesto, di non dire niente a nessuno, perchè così il bambino non finirà incastrato in un sistema che lo rigetterà come ha fatto lui. Cerca di nascondere la faccia nell'incavo del collo di Ann, inspirando l'odore diluito del suo profumo e quella traccia di alcol che gli spedisce un brivido, lo stesso che percepisce inerpicarsi lungo le cosce della donna quando ci appoggia la mano e scala lentamente dal ginocchio, cercando il bordo dei pantaloncini. Lei è indecisa. Lo fissa in silenzio impastando la lingua, valutando il grado di necessità e come sfruttare la situazione e non se lo fa ripetere due volte. Sa che ha terreno fertile per attecchire, per piantare i suoi artigli e spolpargli le ossa almeno fino a che non si sarà rotto di nuovo le palle e se ne andrà sbattendo la porta. E poi è Pasqua e i bambini avevano anche chiesto di lui. Ann gli stringe le dita sottili tra le ciocche, costringendolo a sollevare il viso, gli bisbiglia contro la bocca di far piano e lui ci casca con tutte le scarpe. Jude usa le energie residue per alzarsi e trascinare la donna con sè, attraversando il corridoio mentre si abbevera dell'unica cosa che lo rende più stupido di quanto non sia. Rimbalza contro le pareti, urta il tavolino dove ci sono le chiavi e dove Ann appoggia il fucile. Se l'assesta tra le braccia e risale le scale, non senza fatica, non senza dolore scavandosi la fossa con le unghie spaccate ad ogni gradino che lo porta fino alla camera da letto.
Consuma la rabbia dentro di lei, chiudendosi in un bozzolo di indifferenza totale, sfogando la frustrazione e i pensieri, soffocando i ricordi e l'odio in gemiti che si rincorrono tra le pareti della stanza che un tempo era la sua, come la casa, come la donna con cui ha deciso di giacere - almeno così ne è convinto lui, ma si sa che non decide mai niente. L'abisso nero se l'ingoia e lei incarna la malefica regina delle favole, lo incatena ai suoi doveri e ad una vita che non vuole, che rifugge con tutto sè stesso come rifugge quel bambino e maledice il fato che glielo ha fatto incontrare. Dimentica ogni cosa, tra le cosce di una donna. Si abbandona come la migliore delle droghe senza l'inconveniente fastidioso di dover sganciare chissà quanto e poi non poterne più uscire. Si illude, di avere una via d'uscita, come ogni tossico che domani smette. 
Preme la fronte contro il materasso, ansimando ed ingoiando un bolo acido di dolore mentre lei gli scivola via da sotto e lo lascia a sfogare la frustrazione. Ann lo conosce. Sa che ha bisogno di stare in silenzio e, stranamente, gli concede quello spazio mentre recupera del ghiaccio per la sua mano. Lo sguardo lucido della donna gli si pianta addosso, è accaldata, è soddisfatta ma non da quello che hanno appena fatto. Assapora già la lo scotto che Jude dovrà pagare per essere strisciato l'ennesima volta alla sua porta e tra le sue gambe. 
Qualche ora dopo, quando si è ripreso, fuori l'alba inizia a ricordargli che è domenica. Si tira in piedi, sfruttando il bagno in camera per darsi una sistemata mentre Ann gli ha lasciato i vestiti sul letto, una vecchia maglietta dell'esercito che usa lei e un paio di pantaloni di una sua tuta macchiati di vernice. Andranno bene. Scalzo e con i capelli umidi, si infila in camera dei figli. Adocchia gli aerei e le macchine stampate sulle pareti, i modellini e i robot, le power shell e i palloni e sospira, piazzandosi pesantemente a sedere sul letto di Sawyer. Le molle cigolano, lui schiude gli occhi e lo fissa per un istante.
 - Papà.
 - Ciao campione.
 - Va tutto bene?
 - Sì.
Nonostante tutto, allunga la mano a cercare di scompigliargli i capelli mentre il maggiore dei suoi figli - quelli che non sa crescere e per cui non ne vuole altri soprattutto non blu con le ali - scansa la coperta e gli fa posto. Si lascia andare, infilandosi a lato per sentirlo parlare della partita di baseball a cui non è andato. Mason fa capolino e in faccia gli rimbalza un riflesso che lo fa accigliare. Allunga la mano, cattura il più piccolo per la vita e se lo tira addosso. 
 - Che hai fatto alla faccia?
 - Sono caduto papà.
 - Caduto contro il pugno di qualcuno?
Il silenzio eloquente gli riempie il petto di una fitta che la mano non è nulla in confronto. Stringe i denti e gli pianta un bacio ruvido contro la fronte, serrando la morsa delle braccia fino quasi a soffocarli e sentirli entrambi lamentarsi. Incassa i colpi senza battere ciglio, percependoli assestarsi e ridere distrattamente e poi di nuovo raccontare, mentre chiude gli occhi e si ripromette di andare a spaccare il culo a chiunque abbia osato mettere un dito addosso a suo figlio. Ignora cocciutamente la consapevolezza che gli bussa alla coscienza e gli ricorda che dovrà passare una domenica in famiglia, con i genitori e il fratello, con i figli e la ex moglie, per sdebitarsi di essere stato raccattato ancora una volta, raschiato dal fondo del barile. 

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