Calpesta i lastroni sconnessi del marciapiede davanti al vialetto della sua vecchia casa da almeno cinque minuti, finendo "l'ultima sigaretta prima di entrare". Gli occhi azzurri rincorrono i profili delle finestre, sbirciando le sagome che corrono avanti e indietro e alla fine sbucano nel giardinetto sul retro, un cubicolo di qualche metro per uno sputo, ma abbastanza per poter allestire una cavolo di festa per bambini. I palloncini si notano dallo steccato, galleggiare inerti e colorati. Tira su col naso, premendo sul tallone per evitarsi di puntellarlo, ruotare su sè stesso ed andarsene. Passa il palmo sudaticcio della mano sulla camicia a righe azzurre, per poi soffiare dal naso e passarsi una mano sulla faccia. La barba non c'è più, come ha comandato l'arpia. Il pacchetto che regge nella mancina è incartato alla bene meglio, niente fiocco, niente bigliettino, semplicemente carta riciclata da qualche altro regalo, tutta spiegazzata e con i segni dello scotch che si è portato via la parte stampata a colori. E' l'unica che ha trovato adatta per un ragazzino di quell'età. Alla fine passa una mano tra i capelli, giocherella con le piastrine che ha re-indossato al collo e la catenina con la medaglietta di San Giuda Taddeo, un pensiero dei ragazzi per lo scorso Natale. Ironico.
Il bottone del campanello lo preme con il palmo della mano, attaccandosi fino a causare il rimbombo di lamenti e voci dall'interno. I passi tonanti li sente arrivare fino alla porta sul pavimento di travi di legno che lui stesso si è rimesso a posto quindici anni fa.
- Jade!
Non appena il festeggiato apre la porta gli sbatte in faccia un sorriso brillante guastato da un nomignolo che gli scava dentro come la goccia scava l'acqua.
- Quante volte ti devo dire di non chiamarmi così? Se proprio ti scoccia chiamarmi papà almeno usa il mio nome.
- Sorry dad!
- Così va meglio...
Sospira, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso che trattiene con l'orgoglio cocciuto di un bambino mai cresciuto del tutto. Sawyer sta sulla soglia, è la copia sputata di sua madre e questo rende l'intera situazione un macigno da digerire. Ci vuole pazienza, qualcosa che lui non ha mai avuto. Gli porge il pacchetto augurandogli buon compleanno in maniera poco vigorosa, così come poco vigorosa è la stretta con cui il figlio lo abbraccia, troppo impegnato a cercare di indovinare cosa ci sia nella scatola.
Mason fa capolino da dietro la cornice della porta della cucina, mentre Ann è in fondo al corridoio che gli fa cenno di avanzare, come una specie di domatore che richiama il proprio animale. Jude posa il primo piede sul gradino, lo sente scricchiolare appena sotto al peso della tensione che vi scarica sopra. Niente è cambiato in quella casa, due piani, due camere da letto, una cucina, un salotto, un solo bagno e il giardino. Tutto è esattamente come lo aveva lasciato, i dettagli non lo sfiorano minimamente. La casa l'ha rimessa a posto lui, con la sua fatica, con le sue mani, quando ogni cosa sembrava andare per il verso giusto. Mason lo studia a guisa di animaletto timido, un coniglietto pronto a darsela a gambe al primo sentore di minaccia e non osa nemmeno incrociare il suo sguardo. Jude sospira, il disagio gli si arrampica gelido lungo le vertebre mentre ragazzini iniziano a corrergli attorno e a fare le gare con le macchine - e Sawyer con la sua Camaro gialla fiammante. Lei è appoggiata alla parete, un bicchiere di succo tra le dita, il sorriso quieto mentre ride e scherza con i genitori degli altri ragazzini, fuori nella piccola veranda che collega la cucina al giardino. Jude si avvicina con circospezione, attento a non destare la furia della belva ma gli basta entrare nel suo campo visivo perchè ogni sfumatura di allegria venga risucchiata dalla spirale di insofferenza che diparte da lei e a catena, come un domino, affligge ogni cosa.
- Alla buonora, Jade. Ti avevo detto le otto.
- Perso la cognizione del tempo. Buonasera.
Le risposte arrivano piatte, gli sguardi vagano e improvvisamente nessuno è a proprio agio sulla sedia, come se fossero diventate tutte delle fottute graticole. Lo sguardo di Ann lo incide come farebbe la lama di un bisturi, costringendo le sue spalle ad una curva ancora più accentuata del normale e le dita in tasca ad armeggiare con qualsiasi cosa ci trovino per avere un minimo di pace.
- Bella festa. Ho dato il regalo a Sawyer, credo che possa bastare.
- Non volevi parlare con Adam?
- E' qui?
- No.
Jude sbatte le palpebre. Fissa la sua ex moglie per qualche secondo, completamente spiazzato dalla risposta, o dal senso di un simile scambio di battute. La confusione non coglie solo lui, ma non ha importanza. Lei gli si accosta, ne cerca la spalla con le dita e tra pollice ed indice pizzica la mascella a constatare il taglio della barba.
- Mi ha lasciato un messaggio per te.
Il suo sguardo gli getta addosso una vampata di calore mista ad adrenalina. Conosce quell'occhiata, la conosce come uno dei suoi peggiori mali. L'urgenza e il senso di minaccia gli stringono le viscere, quando gli indica le scale che portano al piano superiore. Dentro, la sua mente grida, impreca, inveisce e si pente, tutto in una volta sola mentre i passi lo conducono uno scalino alla volta verso il patibolo. E nonostante tutto, mentre risale non riesce ad evitarsi di squadrare il sedere della sua ex, piegando la testa con una nota di compiacimento nel notare come si mantenga ancora sodo nonostante gli anni che passano, di come quella gonna di jeans sembri cucita apposta per farlo sembrare più alto di quanto ricordasse. Istintivamente la saliva inizia a mancargli in bocca, la lingua raschia il palato e sbatte contro i denti quando finalmente raggiungono quella che era stata la loro camera da letto, lei lo precede e prende il portagioie dove d'abitudine tiene le cose più importanti. Sfila un bigliettino, niente di particolare, solo un numero e un orario. Jude allarga lo sguardo e lo fissa con apprensione. Quando il suo corpo si è appena proteso per raggiungerlo già sa che ha fatto la mossa sbagliata. Ann glielo soffia da sotto le dita, spedendogli un bolo ai bile a risalire per l'esofago facendogli stringere la mascella per non inveirle addosso. Sfrega i polpastrelli tra loro mentre lei si infila il biglietto nella tasca posteriore e lo guarda.
- Non così in fretta.
Gli scappa un grugnito, seguendola con la fame nello sguardo mentre si sposta per la stanza, padrona assoluta dei giochi con tra le dita un guinzaglio troppo corto che gli scava la carne e l'anima. Sbuffa una risata, arcigna e cattiva, abbaiandole contro un:
- Quanto sei troia
Che gli vale uno schiaffo in pieno viso che nemmeno cerca di contenere. Non è mai stata particolarmente forte e lui ne ha sempre prese tante, motivo per cui non fa una piega a parte ruotare leggermente il capo e poi tornare a guardarla mentre accosta - manco chiude - la porta della camera e gli torna sotto, allungando la mano al cavallo dei suoi pantaloni per strattonarlo contro di lei, letteralmente tenendolo per le palle.
- A che gioco stai giocando?
- Voglio quello che mi spetta, la metà.
- Credi che scoparti valga tanto?
- Il lavoro te lo sto dando io.
- Che cagna.
- Stai parlando della madre dei tuoi figli.
- Su questo ho ancora qualche dubbio.
"Mai insultare la madre dei propri figli mentre regge i tuoi gioielli di famiglia" è un pensiero che gli brucia nella testa, facendosi corrodere il fegato dalla voglia di sferrarle un manrovescio in piena mascella tanto forte da scardinargliela e rovinarle per sempre quel bel faccino. E invece no. Sa di essere maledettamente debole. Quando schiude le cosce e si lascia toccare, al primo respiro troppo denso gli parte la testa e tutto il resto è dimenticato. E' sempre stato così. Un bel paio di gambe, un culo sodo da strizzare, un bel paio di tette e tutto il resto poteva anche andare a farsi fottere per qualche minuto. Le donne, la sua rovina praticamente da quando è nato. Questa in particolare il suo male più grande. Ha un attimo di lucidità nel vedere il proprio viso - senza riconoscerlo - riflesso nello specchio con le mani fasciati ai fianchi di Ann piegata nella posa che più giustamente le si addice, il resto è un lampo di luce calda, bianca, che gli annebbia il cervello.
Ha la testa incassata tra le spalle e la sigaretta tra le labbra quando si lascia la casa dietro, con Sawyer alla finestra che agita la mano e Mason che tiene i palmi appoggiati al vetro beccandosi pure la ramanzina da parte della madre. Scalcia un sasso, tirando su col naso per poi sfilare dal taschino il biglietto con la data e il numero di telefono che aspettava da tempo. Scrolla la testa, consapevole già da ora che sia stata l'ennesima pessima scelta della sua vita. Rivolge lo sguardo al cielo, affondando le dita rigide tra le ciocche appiccicate da un velo di sudore che gli si è asciugato addosso, sospirando affranto nel suo intimo dialogo col Signore di lassù:
- Ho un fottuto bisogno di bere.