Quando suona la sveglia allunga una manata al comodino per spedire il cellulare a soffocare i propri lamenti in mezzo ad una pila di vestiti buttati a caso per terra. Gli ci vuole una buona manciata di minuti per capire che la gamba cell'ha ancora attaccata all'anca e che quella che sta tastando oltre le lenzuola non è la sua. Districarsi dal nodo aggrovigliato di lenzuola e arti umani scatena un mugugno femminile che gli spedisce un brivido inquieto lungo la schiena. Si blocca, per lunghi istanti andando a sollevare il lembo del lenzuolo e sbirciare il viso della ragazza che occupa lo spazio accanto a lui. Ha un vuoto, totale. Il nome sulla punta della lingua che non vuole e non può rievocare. La nebbia dell'alcol gli chiude le tempie in una morsa bollente. Oggi è domenica. Non una come le altre. Scrolla il capo, passando le dita a pettinare indietro le onde appiccicaticce di sudore, di fatica. L'odore di sesso gli punge le narici, spedendolo ad aprire la finestra con quel radicato e pulsante senso di colpa e contrizione che - così gli hanno insegnato - è necessario sentire prima di inginocchiarsi e confessare i propri peccati agli occhi di dio. Il cigolio delle molle annuncia la sua presa di posizione. Lei - Sally? O era Molly? Forse Annie. - si rigira nel letto e copre la faccia col cuscino per evitare l'improvvisa ondata di luce che investe ogni cosa, mentre lui si trascina in bagno.
Sotto la doccia tiene la fronte appoggiata alle piastrelle bianche quadrate. Si passa le dita sulle cicatrici, sui tatuaggi che ha fatto nell'esercito, uno per ogni missione, uno per ogni cazzata. Trattiene il respiro fino a che non sente i polmoni bruciare di necessità. Quando esce lei è sulla porta del bagno che lo fissa mentre si passa l'asciugamano in testa e cerca di dare un senso alle onde schiarite di capelli castani. Le giovani d'oggi non sono mai sazie, non hanno rispetto della domenica e lei glielo dimostra cercando di stuzzicarne le voglie, costringendolo ad una violenza immotivata mentre la schiaccia contro la parete della stanza, gelida soffiandole in faccia quello che vuole lui, ossia di essere lasciato in pace, e ricevendo in risposta quello che vuole lei. Implora intimamente il Signore di farlo stare tranquillo, ma non ha mai risposto alle sue preghiere e non sembra volerlo fare nemmeno oggi. Non ha la facoltà di contenere le reazioni del proprio corpo, non è abbastanza forte per resistere la tentazione di scoparsela di nuovo lì per lì fino a che la mente non ritrova quel bianco candore brillante di un knock out sensoriale e lei gli ha piantato le unghie nelle scapole, scarnificandolo in un rituale antico più del mondo. Le ansima contro la pelle bronzea, le curve sinuose dei glutei le mappa con le dita, premendo fino a far sbiancare, fino a sentirla lamentarsi di quanto cazzo sia rude e affamato. E nella sua testa la realtà grida semplicemente che non ha nulla di famelico, vuole solo andare a messa ed essere lasciato in pace.
Infila la catenella dono dei suoi figli mentre lei continua a sfilargli la camicia dai pantaloni. Costringendolo a imprecare sotto voce e cercare di catturarne i polsi con le dita nodose e dure, fino a costringersi a farle davvero male, spedirla in uno slancio sul letto e prometterle un manrovescio da scombinarle quel bel faccino se non si leva dal cazzo in tre... due... uno.
La porta gli viene sbattuta in faccia, con una serie di maledizioni dal suono focoso e latino che gli stampano un sorriso ebbro sulle labbra. Finisce di vestirsi, prende le chiavi e scivola giù per le scale, raggiungendo il catorcio di macchina che gli hanno prestato per guidare con la solita foga e frustrazione fino alla Chiesa. E' in ritardo, quando ci mette piede e gli occhi dell'intera comunità gli si incollano addosso quando varca la soglia, come la peggiore delle giurie. Sospira, si inchina, si segna la fronte con l'acqua santa e si appoggia ad una colonna, ascoltando dietro le lenti degli occhiali che nascondono le borse e i segni della nottata tormentata. Mastica una gomma, la deglutisce quando è il momento dell'eucarestia a cui però non può partecipare perchè ha l'animo sporco e macchiato dall'essersi portato a casa l'ennesima squinzia di cui non ricorderà il nome e che gli ha lasciato addosso il bruciore di segni sulla schiena.
Finita la messa si accosta al parroco, chiedendogli un momento. Padre Martin solleva lo sguardo verso il soffitto e sospira.
- Cristian lo sai che la confessione è prima della messa
- Ne ho bisogno, padre
- Dovevi arrivare prima
- Per favore.
Il prete controlla il calendario, riconosce la necessità negli occhi azzurri e si concede ad una mezz'oretta di contrizione che vede Jude inginocchiato sui ceci e in castigo, nell'angolo. Ascolta e sospira, scuotendo il capo in silenzio senza dare giudizi, così come sono i loro accordi in tal senso. Lui fa quello che deve, per consolare l'anima nera di un peccatore, e Jude si libera del peso di dettagli sconci in maniera da sentire il fremito della carne e il bollore del basso ventre. E' meschino il modo in cui sfoga la propria insofferenza sulle spalle del prete, ma Padre Martin lo conosce abbastanza da sapere che tanto passerà, come tutto. Gli assegna una decina di gloria padre e mezza dozzina di ave maria, raccomandandosi di imparare il rispetto per la donna e cercare di essere un po' meno accondiscendente con i peccati di gola e di lussuria, ottenendo le solite ripetute rassicurazioni che tanto si sente dire ogni santa domenica. Si leva i finimenti e se ne va, lasciando Jude in compagnia dei suoi mostri in quella piccola chiesa dalle vetrate colorate e le colonne di cemento, al sicuro dalla sabbia, dal dolore e dal ricordo cocente che esorcizza massaggiando la gamba, percorrendo le cicatrici da sopra i jeans.