Torce la spalla cercando di specchiare la schiena nel riquadro stretto del cesso incastrato in fondo all'hangar. I graffi li sente pulsare caldi sulla scapola sinistra. Storce le labbra e apre il flusso d'acqua freddo. Si lava in fretta le mani, sfregando i palmi zuppi contro la faccia, bagnandosi i capelli per poi usare la maglietta come asciugamano, visto che quelli di carta non servono a niente. Abbottona i jeans, chiude la cinta dandosi una rassettata. Sbarbato per bene - per esigenza - recupera la camicia a righe blu, appoggiandosi con la spalla contro la parete scrostata per avere più luce per potersi abbottonare. Respira lentamente, denso, passandosi la mano sulla faccia un'altra volta ancora. Attorno le tempie continua ad aleggiare il profumo dolciastro di Miranda, impregna ogni centimetro di pelle lasciandolo intontito e abbattuto. Gli ci vogliono almeno dieci minuti per uscire e ritrovare la luce che rimbalza sull'asfalto lucido e lo colpisce direttamente in volto. La sua risata lo fa scattare, un colpo di frusta. Come un cane che risponde al richiamo del padrone. La studia, mentre passeggia sui suoi tacchi alti allontanandosi con qualche cliente verso l'ufficio in cui se l'è sbattuta lui mezz'ora prima. Infila la mano nella tasca posteriore, prelevando i soldi che lei gli ha fatto scivolare con arroganza studiata e un sorriso da stronza epocale. Tira su col naso. La paga lì non è male. Scorrazzare qualche imbecille in elicottero non è quello che sperava per sè stesso ma aiuta ad arrotondare. E poi non ha scelta. Il debito contratto con la società lo deve pagare e, al solito, finisce per essere tenuto per le palle dalla stronza di turno. Da ragazzino era sua madre, da uomo la sua ex-moglie, da veterano qualsiasi paio di cosce si apra per accoglierlo e dargli quella manciata di attimi, tra un gemito e un brivido, di totale disconnessione dal mondo che lo circonda.
Incastra il filtro contro i denti, sfila la sigaretta dal pacchetto e inforca gli occhiali da sole, allontanandosi dopo la giornata di lavoro. Lo stomaco brontola, ma deve passare prima a saldare altri debiti. Salassato come ogni benedetta volta. Tira su col naso, controllando il cellulare nota un messaggio che non aveva sentito, probabilmente arrivato mentre aveva i calzoni raccolti attorno le caviglie. Sfiata dalle narici, piantando le suole degli anfibi a terra. Fissa incredulo, confuso, quel semplice messaggio stringato. Lo aspettava da così tanto tempo che, adesso, gli sembra un puro miraggio. Non riesce a contenere quella sorta di inebriante senso di trionfo, sollevando il mento si guarda attorno considerando che forse, in fin dei conti, non è poi questa brutta giornata. Forse può anche permettersi un goccetto, di sgarrare un po'. Tanto poi domani si confessa.
Si abbandona sul sedile di plastica scomodo del bus, piantando le suole a terra tiene le gambe allargate e la testa stretta tra le mani ampie. Le dita affondate nelle onde imbiondite dal sole e dalla lunghezza. Le tempie continuano a pulsare al ritmo dei graffi sulle spalle, il cellulare lo insegue con messaggi sempre più criptici e il tallone destro rimbalza come un martello pneumatico contro il pavimento in alluminio. Si lecca le labbra, sentendo salire la tensione sottile della disfatta. Come il peggior post sbornia della sua vita - e non ha nemmeno bevuto - sale l'acido che gli squassa lo stomaco e rende le ginocchia gelatina. Ha davvero bisogno di tirarsi su il morale, ma questa cosa non può fotterla. Ha assolutamente bisogno di riuscire, per una volta sola. Deve. Passa in chiesa, accende un cero e si avvia verso il punto d'incontro per prelevare l'auto.
E' un lavoro semplice, ma gli si è chiuso del tutto lo stomaco.
E' un lavoro semplice, non può mandare anche questo a puttane.
E' un lavoro semplice, ma Cristo Santissimo i soldi sono buoni.
Deve solo riuscire ad arrivare dal punto A al punto B senza finire per schiantarsi, o arrestato.
Facile. Semplice. Pulito.
Il rombo del motore è musica pura, gli entra dentro, balsamico, lenendo la tensione fino a fargli dimenticare tutto il resto. Annichilisce la parte più incerta di lui. La macchina sovrasta l'uomo, diventano una sola cosa, incollati alla strada. La velocità gli gonfia le vene di adrenalina, assorbe ogni frustrazione, fa tacere il bruciore dei graffi e il senso di impotenza, soverchiato dalla consapevolezza di essere di nuovo nel proprio elemento, pistoni, lamiera e gomma.